Dieci anni dopo il meteorite di Chelyabinsk, gli scienziati ragionano ancora su quel fragoroso impatto
La mattina del 15 febbraio 2013 il cielo sopra Chelyabinsk, in Russia, si colorò con una lunga striscia di fuoco. Pochi istanti dopo l'onda d'urto dell'esplosione avvenuta a circa 30km di altitudine raggiunse la superficie, provocando l'esplosione di vetri, finestre e il ferimento di circa 1200 persone. Si trattò dell'arrivo inaspettato di un asteroide di circa 17-20 metri di diametro, che sprigionò un'energia pari a 30 volte circa quella rilasciata dalla bomba di Hiroshima. Dieci anni dopo molte cose sono cambiate, come spiega il coordinatore del servizio informazioni del Near-Earth Object Coordination Center (NEOCC) dell'Esa Juan Cano. "Quell'episodio fu un campanello di allarme per tutti i politici del mondo. La nostra agenzia fu fondata in quello stesso anno", racconta Cano, che insieme a un team di astronomi di stanza a Frascati, alle porte di Roma, scruta il cielo e calcola la traiettoria delle centinaia di migliaia di oggetti che orbitano nel sistema solare. "Gli oggetti più grossi li abbiamo trovati praticamente tutti, quelli su cui c'è ancora da lavorare sono quelli di dimensioni ridotte, come quello di Chelyabinks", spiega l'astronomo. "La minaccia più grande - aggiunge - è rappresentata dagli oggetti che arrivano dalla direzione del Sole perché i telescopi non possono vederli". Una dimostrazione in questo senso è arrivata appena pochi giorni fa, quando un bolide osservato con appena 5 ore di anticipo ha illuminato la notte di Parigi. Per questo negli ultimi anni sono stati finanziati diversi telescopi di nuova concezione, come il Fly Eye dell'Esa che sarà installato sulla sommità del Monte Mufara in Sicilia. Anche la missione Nasa DART e quella europea di HERA in questi anni hanno dimostrato la capacità tecnologica di intervenire in caso di oggetti pericolosi in rotta di collisione con la Terra. "C'è ancora molto lavoro da fare, ma tra tutti quelli che abbiamo trovato nessuno ha un probabilità superiore all'1% di colpirci", conclude Cano.
di Francesco Giovannetti